I Colori della Mente. Anna Wallace-Thompson intervista Anas Albraehe (Siria) per l’Atassi Foundation

Anas Albraehe è una creatura di luce. Sa specchiarsi e riconoscersi nell’umanità che gli passa accanto. Il suo sguardo è un dono della Siria al mondo

L’intervista è stata condotta da Anna Wallace-Thompson e pubblicata sul sito della Atassi Foundation, “iniziativa indipendente non profit fondata da Sadek e Mouna Atassi per promuovere l’arte e la cultura siriana”. Qui è stata tradotta in italiano da Claudia Avolio su gentile concessione della fondazione

L’artista multidisciplinare Anas Albraehe (Siria) ha studiato pittura e disegno all’università di Belle arti di Damasco, laureandosi nel 2014 prima di trasferirsi in Libano. Qui l’anno seguente ha completato un master in psicologia e arteterapia alla Lebanese University. Questo suo interesse per la mente è evidente nelle sue opere che comprendono dipinti e performance teatrali ed esplora tanto la psicologia del colore quanto lo sguardo dell’altro. Anna Wallace-Thompson gli ha posto domande su come il colore rifletta la psiche, sul volto cangiante del ritratto e sull’immagine che abbiamo di noi stessi in un mondo digitale in continua evoluzione.

Quando ti sei trasferito in Libano hai deciso di studiare psicologia e arteterapia. Cosa ti interessava di queste materie?

Dopo aver concluso i miei studi a Damasco, per un annetto ho lavorato come volontario con i rifugiati. La cosa mi ha esposto alle complesse questioni psicologiche che attendono le persone che devono trasferirsi e cambiare le proprie vite in questo modo, e mi ha fatto interessare dell’assistenza psicosociale. Volevo approfondire gli studi sul tema e sono stato accettato per una borsa di studio per un master in Libano, sotto la supervisione di dottori, professori e specialisti. La mia tesi si intitolava “Violenza domestica e come consentire il dialogo per ridurre la violenza come fenomeno”. 

Anas Albraehe davanti ai suoi dipinti. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe davanti ai suoi dipinti. Courtesy of Anas Albraehe

Il tuo lavoro ha molto a che fare con la psicologia del colore. Come influisce su di noi il colore? E cosa stai esplorando con le tue particolari scelte cromatiche?

Non posso essere del tutto sicuro sul perché scelgo i colori che scelgo, ma di certo la mia scelta è dettata dal bisogno di separare il mio lavoro dalla realtà. Disegno ciò che vedono i miei occhi – non uso una macchina fotografica, ma osservo i colori della natura e l’ambiente in cui mi sembra di vedere nuovi colori che si sovrappongono. Accendono la mia immaginazione e penso a come ogni tonalità di colore influisca su quelli vicini. Nel mio lavoro, per esempio, accanto all’arancione il grigio può diventare un freddo arancione azzurrognolo che si armonizza dolcemente.

La tua tavolozza è davvero caratteristica. Mi ricorda un po’ gli Impressionisti, ad esempio Gauguin, così piena di vita. Oltre al modo in cui lavorano insieme, i colori simboleggiano qualcosa nelle tue opere?

Sì, amo Gauguin e Matisse e mi lusinga che il mio lavoro te li ricordi; forse attingiamo dalla stessa fonte, tutti prendiamo qualcosa dalla natura. I Paesi del Mediterraneo e del Sud sono caldi, soleggiati e ricchi di dettagli. Possiedono uno spirito capace di influenzarci. Detto questo, quando ho iniziato la mia carriera di pittore non avevo familiarità con Gauguin. Vivevo in una campagna sperduta di Suwayda e disegnavo semplicemente ciò che mi circondava. All’università, grazie a Internet, ho iniziato a conoscere artisti come Gauguin e Matisse ed ero sorpreso e contento. Ho pensato che forse dentro di me ho uno spirito che somiglia alla loro anima. I colori che uso sono quelli del mio bellissimo ambiente.

Crei i tuoi mix di colori? Ci sono colori che stai cercando di creare o ai quali ti senti più connesso?

Mi lascio ispirare dal dipinto man mano che proseguo. Ho una fervida immaginazione e in tutta onestà se smettessi per un momento di pensare a quale colore stavo per scegliere, penso che non sarei in grado di dipingere onestamente. Spesso è solo quando mi allontano dal dipinto per averne una visione più ampia che capisco come i colori si sono uniti, quasi da soli.

Anas Albraehe, Manal and My Mother’s Scissors, olio su tela, 150x120 cm. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe, Manal and My Mother’s Scissors, olio su tela, 150×120 cm. Courtesy of Anas Albraehe

Il tuo lavoro ha anche molto a che fare col ritratto contemporaneo. Come ritieni che il ritratto sia cambiato nell’epoca dei selfie, di Instagram e Facebook, e delle fotografie istantanee sui nostri smartphone? Credi che l’artista abbia l’onere di mantenere viva quest’arte o di adattarla? È una questione che ti poni?

Me la pongo spesso e sono preoccupato e afflitto riguardo al futuro della pittura. L’influenza dei social media sull’arte sembra pericolosa ma la gente non se ne rende conto. Si confonde l’immagine col dipinto, e il dipinto è formalmente associato all’immagine. Sembra quasi che il pubblico si stia più che mai abituando alle immagini bidimensionali senz’anima e prive di una dimensione sensoriale ed emotiva. Tutto è così photoshoppato e perfetto che nessuno sembra davvero “vivere” nel momento e sentire e sperimentare quello che ha davvero davanti agli occhi. Per esempio, se qualcuno vuole vedere un albero, lo filma, fa zoom per coglierne l’angolo e l’inquadratura perfetti, ma non riesce a goderne coi suoi occhi.

Che vuoi dire?

Per esempio al giorno d’oggi non abbiamo più bisogno di dipinti “realistici” che ritraggono la realtà in modo esatto: il bisogno che l’arte sia una documentazione diretta del mondo intorno a noi è diminuito con l’avanzare della fotografia. Per come la vedo io, cercare di creare un dipinto che si sforza di somigliare alla realtà in modo più esatto possibile è una perdita di tempo. L’arte ci serve per l’arte: disegna qualcuno con colori speciali, pieno di spirito ed espressività! Se vuole un ritratto preciso, be’, la macchina fotografica è lì. E soprattutto – nel caso dei ritratti – non comparare un’opera d’arte a una fotografia, sono due approcci del tutto diversi. Mi chiedo davvero quale sarà il futuro del dipinto.

Anas Albraehe, Manal, 2017, olio su tela, 115x95 cm. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe, Manal, 2017, olio su tela, 115×95 cm. Courtesy of Anas Albraehe

Tu esplori anche lo sguardo dell’altro. Si percepisce molta intimità nei tuoi dipinti, come se noi spettatori fossimo non dico degli intrusi ma certo qualcuno che guarda dentro momenti tranquilli e privati. Cosa suscita il tuo interesse nello sguardo dell’altro? Si tratta di un’intrusione o di un invito che fai?

A questa domanda non posso rispondere in modo esaustivo, perché gli elementi profondi nelle nostre anime sono difficili da esprimere a parole, così io invece li disegno. Lo sguardo dell’altro è un’emozione, e spero che i miei dipinti convoglino allo spettatore la stessa emozione che mi ha spinto a crearli in prima battuta.

Nella tua mostra più recente dal titolo Dream Catcher alla Agial gallery (Beirut) hai inserito opere che esplorano l’industria del sonno. Ad esempio l’idea che in ambito militare si stia cercando di creare il “soldato senza sonno” e come il sonno è visto in alcune industrie in termini di merce che ci rallenta. Perché secondo te il sonno è diventato una debolezza nella società contemporanea?

Anas Albraehe, olio su tela, 360x200 cm. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe, olio su tela, 360×200 cm. Courtesy of Anas Albraehe

Appena mi sono trasferito a Beirut, vivevo con un gruppo di lavoratori miei amici. Sono rimasto colpito da come, nel sonno, i miei amici fossero in uno stato di completo abbandono e verità. Li ho visti come pure forme plastiche – un insieme di mani, linee colorate, blocchi di forme, luce e altri dettagli, ma coi volti stanchi assenti. Questo mi ha spinto a fare ricerche sul sonno e su come è cambiato. Viviamo in un’epoca veloce, il capitalismo vuole programmare ogni cosa in favore della produzione e promuovere l’idea del consumo. Qualcosa che ci influenza, anche se non lo notiamo. C’era un periodo in cui andavamo a letto presto. Ora dormiamo meno, trascorrendo ore e ore a scrollare immagini: pubblicità, marketing, social media (tra l’altro, a volte mi chiedo se la razza umana si evolverà in modo diverso per adattarsi a tutto ciò; i nostri figli un giorno, in un futuro remoto, avranno occhi più grandi e pollici più grossi?). Dormiamo poco e meno perché le nostre vite sono vuote e veloci, bloccate all’interno di un sistema che vuole che lavoriamo con più rapidità e consumiamo di più. Questo mi interessa e voglio approfondirlo.

Mentre dormiamo siamo vulnerabili. I tuoi soggetti sono avvolti da trapunte che sembrano bozzoli: li nascondono allo spettatore tanto quanto proteggono e fanno da scudo agli uomini dal mondo che li circonda.

Questa trapunta appartiene al mio ambiente, è un capolavoro che le donne hanno realizzato sin dai tempi antichi, competendo l’una con l’altra per chi avrebbe creato la trapunta più bella. Trapunte del genere esistono nel ricordo di tutti, e le ho disegnate come omaggio alle donne che le realizzano e alla nostra cultura. È un utero alternativo, una dimora e un luogo al sicuro che ha cura di noi mentre dormiamo beati. La trapunta ci avvolge nelle nostre gioie e nei nostri dolori e ci permette di abbandonarci e scostarci dalla vita, anche solo per poche ore. Mentre dormiamo siamo tutti uguali. Che tu stia dormendo in un palazzo o sia un bimbo che dorme per strada, entrambi siete assenti dalla realtà, e la trapunta è intima tanto quanto la tua casa. Nel contesto dei miei dipinti ogni trapunta assume un colore diverso per mostrarne l’unicità della dimora che rappresenta per chi vi dorme avvolto.

Anas Albraehe, Manal with Umbrella, olio su tela, 100x150 cm. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe, Manal with Umbrella, olio su tela, 100×150 cm. Courtesy of Anas Albraehe

Raccontami della tua serie “Manal”. Hai detto che stavi esplorando la tua stessa psiche attraverso il volto della tua vicina: cos’è stato riguardo la sindrome di Down che ti ha fatto pensare all’espressione di sé? Cosa ti ha fatto scoprire su te stesso? Lo scatto di genere (uomo/donna) cos’ha portato alla luce?

Onestamente è stata Manal a insegnarmi a vedere. Ha questo aspetto speciale e un’estetica delicata. In molti modi mi permette di dipingere me stesso attraverso il mio dipingerla. Difficile da spiegare, ma forse si capisce meglio dal video che ho realizzato:

Che sfide si affrontano lavorando a un ritratto? Ci sono nuove direzioni verso le quali stai cercando di spingere il tuo lavoro?

I ritratti sono davvero complessi: ci vuole profondità di percezione e anche del semplice buon vecchio, sostanzioso talento. Un ritratto senza talento potrà essere tecnicamente valido ma privo di spirito. Quando dipingo o disegno ritratti, non penso al futuro: sono completamente nel presente, e questo mi fa sentire che sto facendo quello che sono nato per fare su questa Terra.

Anas Albraehe, Senza titolo 2, 2019, olio su tela, 150x150 cm. Courtesy of Anas Albraehe
Anas Albraehe, Senza titolo 2, 2019, olio su tela, 150×150 cm. Courtesy of Anas Albraehe

A cosa stai lavorando al momento?

Lavoro a una nuova mostra in cui sto dando vita a un omaggio alle donne che lavorano nell’agricoltura. All’inizio ero attratto dai colori di questo tipo di scene, ma poi mi sono reso conto che volevo sottolineare l’importanza delle donne che rivestono questi ruoli nella Storia. La prima divinità fu Ishtar e la prima creatura su questa Terra fu la Madre. La femmina ci contiene, vive in noi e ci crea: volevo onorare questo.

Testo: Courtesy of Atassi Foundation
Immagini: Courtesy of Anas Albraehe



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