Siamo nel marzo del 2014 al Tashkeel Center di Dubai. Lo street artist eL Seed (Tunisia – Francia) riceve la visita della street artist Aya Tarek (Egitto) e del collettivo di Medrar TV che produce uno dei suoi bellissimi video riprendendo la conversazione tra i due artisti.
In questa occasione Aya si pone più in veste d’intervistatrice, lo scambio riguarda più che altro il lavoro di lui, ma c’è una sintonia totale tra loro che all’epoca avevano già anche lavorato insieme a Francoforte, in Germania.
eL Seed racconta di come ha iniziato, ai tempi in cui era un business consultant e “disegnavo e dipingevo nei fine settimana”, trovando poi nei “social media [ciò che] mi ha consentito di fare quello che prima la gente doveva pagare per fare”.
Le riprese di Medrar TV, questo importante collettivo con sede in Egitto che promuove da anni l’arte contemporanea del mondo arabo, ci danno la possibilità di muoverci tra alcune sue creazioni e sperimentazioni, di vederne addirittura una di cui l’artista non è convinto e che fa in parte sparire passandoci sopra mani di tinta bianca, “ecco cosa la gente non vede mai di me!”.
Le tele, i supporti, le bombolette spray e i barattoli di colore, i pennelli: chi ha realizzato con maestria il video ci fa il grande dono di farci perdere tra questi dettagli pieni d’anima, concentrazione e possibilità.
“Disegno sempre con la calligrafia araba e scrivo un messaggio: non è mai solo il design dell’opera a contare, c’è sempre un messaggio e deve parlare della comunità in cui mi trovo a disegnare”, spiega lo street artist – qui viene in mente un’espressione ad hoc come “arte contestuale”.
“Scrivo solo in arabo, anche se c’è gente che dice di non capire. Come per le canzoni di Micheal Jackson che ascoltavamo negli anni ’80: c’era qualcuno di noi che capiva cosa cantava in inglese? Eppure sai, c’è una melodia, e tu capisci la musica pur senza cogliere le parole. Accade lo stesso per la calligrafia araba”.
Aya gli chiede se gli sembra mai che i media interpretino male il suo lavoro: “Io sono tunisino, scrivo in arabo per le strade: i media in Occidente danno di me un’immagine un po’ romantica di graffitista rivoluzionario. C’è stata una rivoluzione in Tunisia, certo, e ci sarà per tutto il tempo in cui costruiremo una Tunisia nuova, ma il tuo lavoro non deve per forza sempre riguardare la rivoluzione. Potresti voler fare dei graffiti che parlano di una certa questione legata al tuo quartiere”.
Ecco una domanda di Aya che va al cuore del gesto artistico: “Puoi parlarci del processo di elaborazione del tuo stile calligrafico?”. eL Seed racconta che fino al 2000 non sapeva leggere e scrivere in arabo ma parlava il dialetto tunisino. Alle lezioni serali di arabo a Parigi era poi “l’unico della classe che volesse imparare la calligrafia”. Non avrebbero tenuto un corso solo per lui, e così ha “iniziato a fare pratica da solo, copiando gli stili e aggiungendo colori”. Il fatto di non avere una conoscenza iniziale delle regole legate alla calligrafia araba gli ha permesso di sperimentare in base al proprio gusto, creando il suo stile unico: “Mi piace seguire il mio intuito quando lavoro a un murale, a volte improvviso anche”.
Aya dice di aver “notato che nel mondo arabo da un po’ si apprezzano di più le opere come le tue in cui graffiti e calligrafia si mescolano e c’è un senso identitario più forte rispetto al copiare i graffiti della old school americana”. Per eL Seed “questa idea è cambiata negli anni, nel mondo arabo i ragazzi volevano creare le stesse cose che si facevano a New York e in Europa. Ma devi essere orgoglioso della tua cultura, della tua Storia, delle tue radici. Puoi prenderne delle parti e lavorarci nei tuoi graffiti, e c’è bisogno di costruire su questo, su quello che hai. Non serve andare a vedere su Youtube cosa hanno realizzato i ragazzi nel Bronx tre anni fa: ormai lo hanno già fatto, no? Quindi, tira fuori qualcosa di nuovo – ecco il messaggio”.