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Lizzy Vartanian Collier ci aveva già raccontato com’è nata Arsheef, la prima galleria d’arte contemporanea dello Yemen, creata da lei e Ibi Ibrahim. Ora per My.Kali Lizzy ha intervistato l’artista intibint che le ha parlato di Yemen e femminismo, del suo “usare l’arte per portare le donne e le questioni delle donne al centro” e della sua canzone Myself. Una storia da non perdere!
Testo di Lizzy Vartanian Collier, revisione di Eliza Marks (My.Kali 30/03/2020 – Titolo originale: Intibint: Subverting Attitudes Towards Arab Girl Stereotypes Through Art And Music)
Traduzione di Claudia Avolio
Forse avete già sentito l’espressione “inti bint”. Per chi non la conoscesse, il suo significato letterale in arabo è “Tu sei una ragazza”. In genere viene detto a ragazze e donne con tono dispregiativo per spiegare che non possono fare qualcosa. Perché? Perché sono femmine. Molti l’hanno sentita dire ignorandola, ma un’artista e musicista dello Yemen che vive a Londra ha deciso di fare qualcosa al riguardo. Caricando immagini che fanno delle donne le protagoniste, schiacciando stereotipi e dando loro voce, intibint ha trasformato questa espressione araba da aspetto negativo a qualcosa di positivo. Vedendo il nickname intibint online, potreste essere sorpresi (e colpiti) da ciò che vedrete.
intibint ha iniziato a disegnare da piccola, ma non ci ha mai pensato su tanto, scarabocchiava giusto per passare il tempo. Ha cominciato a postare il suo lavoro su Instagram per raccogliere fondi per lo Yemen, ma più lo faceva, più si appassionava. Da hobby è diventato una parte importante della sua vita e il suo profilo Instagram che mescola arte, musica e frammenti del suo quotidiano è diventato molto popolare. “In linea di massima il riscontro è positivo e vengo appoggiata, il che è stupendo”, spiega e aggiunge: “Di tanto in tanto mi arrivano certi commenti del tipo “E gli uomini?” sotto alcuni dei miei post più femministi, ma ci sarà sempre qualcuno che fa così, no?”.
Spiega che spera di sovvertire l’espressione “inti bint” usandola come pseudonimo online. “C’è davvero tanta strada da fare per arrivare a un punto in cui alle donne non venga più detto che c’è una barriera di genere, cosa che non è così”. Mi cita esempi di donne che fanno cose meravigliose, come l’avvocatessa Huda al Sarari che ha fatto luce sulle prigioni in Yemen gestite da governi esterni. “Sono fiera di sapere che esiste e di averla come modello. Trovo una follia totale il fatto che alle ragazze venga detto sin da giovanissime che devono farsi da parte per via del loro genere”.
Sul profilo di intibint tra le opere più degne di nota ci sono quelle della serie “Banat Alshare3” (“le ragazze della strada”). In questi disegni colorati vediamo donne ritratte per la strada con frasi come “Sono libera”, mentre altre immagini ritraggono donne nude sedute in cima a edifici yemeniti tradizionali con didascalie come “Non puoi prendere ciò che è mio”.
Con opere che mostrano donne seminude e frasi come “Dio è grande – la scelta è nelle mani di lei – l’uguaglianza è un suo diritto – la rinascita è nelle sue mani – vittoria per le donne”, intibint si preoccupa mai di come le persone potrebbero reagire? “Sì e no. Il mio lavoro parla di femminismo ma non è diretto esclusivamente alle donne e il mio obiettivo non è parlare dei corpi delle donne ma delle donne stesse. Il mio scopo è sempre stato usare l’arte per portare le donne e le questioni delle donne al centro, e ovviamente a volte mi sono preoccupata del fatto che le mie intenzioni venissero fraintese, ma penso sia destinato a verificarsi. Tutti hanno diritto ad avere un’opinione e non tutti vedranno le cose come me, e va bene così! Anzi, è un bene: permette alla conversazione di continuare e in un certo senso il punto è proprio questo”.
Ma forse le opere di intibint che colpiscono di più sono quelle che commentano lo Yemen, il suo rapporto con esso e la situazione riguardo la guerra che c’è dal 2015. Le sue illustrazioni comprendono immagini di bambini che chiedono alle loro madri se quel giorno moriranno a scuola – a dir poco straziante. “È stato molto difficile guardare la guerra in Yemen come membro della comunità della diaspora. A volte mi era di conforto potermi esprimere su questo e al contempo sensibilizzare sulle atrocità che stanno avvenendo a casa”. Infatti gli abiti che intibint produce e vende online – coi suoi lavori stampati sopra – sono stati creati per raccogliere fondi sia per sostenere lo Yemen che come mezzo per spargere la voce – attraverso i vestiti – su quanto sta avvenendo.
Oltre alle sue opere davvero potenti, intibint sta anche facendo musica. Ha sempre amato cantare, ma crescendo ha deciso di concentrarsi su altre cose, dalla fotografia al volontariato con i rifugiati. Dopo aver conseguito un master in Migrazione e Sviluppo alla School of Oriental and African Studies di Londra, però, ha avuto più tempo per approfondire i suoi altri interessi e così ha iniziato a concentrarsi davvero sulla musica. “A essere sincera avevo abbastanza paura di debuttare con della musica in quanto donna yemenita, per via dello stigma che c’è al riguardo. Approfondire la questione mi risulta difficile perché non voglio rientrare troppo in questa categoria della “ragazza dalla pelle scura oppressa”… Le donne musulmane di colore sono spinte in delle categorie quando entrano in campo creativo”.
Riflettendo sulle sue esperienze, dice: “Ci sono molti stereotipi attorno all’essere una donna musulmana, e sull’Islam in generale. Per esempio nell’essere percepiti come oppressivi con le donne e molte volte le nostre lotte sono viste come unicamente legate al fatto che siamo musulmane o di retaggio arabo o asiatico, quando in realtà ci sono una miriade di questioni che le donne musulmane affrontano causate dalle strutture patriarcali imposte dagli uomini bianchi”.
Il suo singolo di debutto, “Myself”, è uscito a San Valentino nel 2019 e parla di amare se stessi invece di un partner in senso romantico, ma si potrebbe interpretare anche come un’affermazione sull’amare se stessi quando il mondo ha così tante nozioni preconcette su cosa definisce una donna araba musulmana, identità che di certo non è una “taglia unica”.
E riguardo al suo pubblico? “Non faccio distinzioni quando si tratta del pubblico, ma spero di poter parlare alle donne di ogni età e background, e senza dubbio mi auguro sempre che il mio lavoro possa essere almeno un minimo d’ispirazione per le donne yemenite, nella diaspora e in Yemen”. Nel prossimo futuro, intibint ha in programma di far uscire il suo primo EP: è ancora nella fase di scrittura, ma di certo non finisce qui.
Insomma, cosa ci riserverà intibint? Si è appena laureata e sta lavorando a diversi progetti. “Sono decisamente pronta a concentrarmi di più sul creare arte, musica e inshallah una nuova collezione per sostenere progetti caritatevoli in Yemen”.
intibint (“tu sei una ragazza”) diventerà mai inti mara’a (“tu sei una donna”)? “Bella domanda! Be’, questa bint (ragzza) è sicuramente andata avanti e cresciuta, e inshallah continuerà a crescere in versioni sempre migliori di una mara’a (donna), ma la risposta è no”, spiega. “Il mio nickname è sempre stato intibint e sento che cambiarlo sarebbe sbagliato nei confronti della persona in me che ha voluto cominciare proprio con intibint”.
Guarda il video e ascolta la canzone di intibint dal titolo Myself (Prod: Daniel Keane)
La musica di intibint è anche su Spotify
Testo e immagini: Courtesy of My.Kali, Lizzy V. Collier & intibint